mercoledì 28 marzo 2012

L'automobile come paradigma della subcultura italica



Fabio Ciconte, ambientalista e co-fondatore di "Terra", sul suo blog sostiene che la mancanza in Italia di valide alternative spiega ragionevolmente un dato a mio avviso sconcertante: il primato mondiale di auto private pro-capite. Ragionamento tipico dell'italiano medio e della subcultura oggi prevalente: è colpa delle istituzioni, dei Comuni, di Berlusconi, di D'Alema se uso la mia automobile anche per andare a comprare il pane sotto casa! Le solite cazzate, i soliti capri espiatori, il solito qualunquismo.


Certo, non nego una certa responsabiltà politica delle istituzioni locali e nazionali, della nostra misera e infida classe dirigente che a chiacchiere propone il cambiamento, il rinnovamento, ma nei fatti è fortemente e subdolamente conservatrice e reazionaria. Sarebbe sciocco negare il legame indissolubile esistente tra la politica, le case automobilistiche e le potenti lobby del petrolio: bisogna consumare petrolio ergo dobbiamo produrre più automobili e disincentivare l'utilizzo di mezzi di locomozione alternativi all'automobile privata.

Nel nostro cosiddetto Belpaese disincentivare l'alternativa all'automobile privata è un'operazione molto facile, addirittura superflua. Le ragioni vanno ricercate nella subcultura terzomondista oggi dilagante in questo squallido e irritante Paese. L'italiano "sordiano" considera la propria automobile un feticcio, un prolungamento fallico, un status simbol. Usare la bicicletta e i mezzi pubblici risulta imbarazzante, vergognoso, umiliante. Che pensarebbe il mio vicino se dall'oggi al domani non usassi più l'auto o addirittura la vendessi? E poi tutti in bicicletta sarebbe troppo democratico, devo ostentare il mio successo, dare un senso al mio servile lavoro quotidiano: l'automobile è per questo perfetta.

La responsabilità è  nostra, e se non ne prendiamo coscienza niente potrà cambiare. È necessario trasformare radicalmente le nostre abitudini quotidiane, la nostra forma mentis. Dobbiamo capire che le grandi rivoluzioni, i grandi ed epocali cambiamenti, partono sempre dal basso. Delegare alla politica e ai partiti il cambiamento è meramente utopico e in palese contraddizione con l'essenza stessa della politica. Rivoluzioniamo le nostre teste, puntiamo sui nostri veri bisogni, cacciamo nelle tenebre l' Homo Consumens. 

La politica inevitabilmente non potrà che prenderne atto.

Emiliano Lazzeri